C’è ancora bisogno di leader?

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C’è ancora bisogno di leader?

La leadership tra sfumature di nero, verde e grigio.

15 aprile 2020

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  • Alessia Canfarini
    Alessia Canfarini

È uno dei volatili più pesanti in natura, per potersi levare in volo ha bisogno di una forte spinta usando le zampe posteriori. È da sempre considerato simbolo di bellezza, eleganza nonché di amore eterno. Si dice che questo animale abbia un solo partner per tutta la vita e che sia fedele fino alla morte, è bianco ma abbiamo imparato a conoscerlo anche nero e verde.

È il cigno.

Passato in questi giorni da simbolo di eleganza a simbolo di pandemia. L’accostamento tra Covid-19 e “cigno nero” si rincorre tra le righe della stampa e tra le pieghe della società.

Ma la pandemia può davvero considerarsi come un cigno nero?

Torniamo per un attimo alla teoria.

Si tratta di una metafora antica che esprime il concetto secondo cui un evento raro, imprevedibile e inaspettato – positivo o negativo – con un forte impatto sull’andamento della storia, è una sorpresa per l’osservatore. Una volta accaduto, l’evento viene razionalizzato solo a posteriori.

Secondo il filosofo e matematico libanese, Nassim Nicholas Taleb, “La storia è piena di cigni neri e tutti seguono le stesse dinamiche”.

Taleb ha sviluppato la teoria filosofica del cigno nero spiegando il ruolo sproporzionato degli eventi a forte impatto, rari e difficili da prevedere rispetto a normali aspettative nell’ambito della storia, della finanza e della tecnologia.

Un cigno nero non può essere mai previsto, immaginato o classificato utilizzando i metodi scientifici, a causa della sua natura di evento a bassissima probabilità. Quando arriva, spesso non viene neppure riconosciuto per quello che realmente è.

Si tratta, per prima cosa, di un evento isolato che non rientra nel campo delle normali aspettative perché niente nel passato può indicare in modo plausibile la sua possibilità.

Ha poi un impatto enorme.

Infine, nonostante il suo carattere di evento isolato, la natura umana, con i suoi pregiudizi, porta ad elaborare giustificazioni a posteriori della sua comparsa, per renderlo spiegabile e prevedibile.

Complottisimi, terrapiattismi, dietrologismi ne sono tipiche espressioni sociali.

Il punto centrale è quello dell’imprevedibilità che assume contorni sempre più complessi, tra segnali forti, segnali deboli e future sciences.

A fare chiarezza ci aiuta Netflix.

Lo scorso novembre, poco prima che il mondo sperimentasse una delle sue più grandi metamorfosi di senso, la serie “Explained” mandava in onda un episodio intitolato “The next pandemic”.

C'è una battuta nell'episodio che a un certo punto dice: "Ci sono solo tre cose che sono inevitabili in questo mondo: morte, tasse e pandemie influenzali".

Si prendeva in considerazione la possibilità che il mondo fosse sull’orlo di una pandemia attraverso un esame molto accurato sull’epidemia SARS 2003 iniziata dai mercati umidi della Cina identificati come prossimi possibili focolai.

Se si provasse a rivedere la puntata oggi, il brivido sarebbe assicurato.

Proprio la Cina si è accorta tra i primi della necessità di riconsiderare il significato di questo termine, l’imprevedibilità, che diventa categoria mentale, sociale, economica.

Un editoriale del “Giornale del Popolo”, del 2017 metteva in guardia sugli imprevedibili “cigni neri” e sui prevedibili “rinoceronti grigi”.

«Dobbiamo impedire sia i cigni neri che i rinoceronti grigi (…) non possiamo ridurre o ignorare piccoli segni di qualsiasi tipo di rischio», riportava l’editoriale.

L’espressione “rinoceronte grigio” è stata coniata da Michele Wucker, autore del libro “The Gray Rhino: How to Recognize and Act on the Obvious Dangers We Ignore” (curiosamente, l’headline di Amazon lo descrive come “The #1 English-language bestseller in China – the book that is shaping China's planning and policy for the future”!).

L’espressione si riferisce a pericoli grandi e trascurati, come la crisi finanziaria del 2008, preceduta da alcuni segni di allarme precoce. Un rinoceronte grigio è prevedibile rispetto ad un “cigno nero” inaspettato e, più i giorni di quarantena trascorrono, più comincia a farsi strada la possibilità che il virus abbia le sembianze più di rinoceronte che di cigno. Non è una differenza da poco.

Tra cigni e rinoceronti c’è di mezzo la leadership.

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Ci sono almeno dieci lezioni che può trarre la leadership da questo momento di sospensione destinato a trasformarsi in qualcosa di più che una contingenza.

E non sarà la specie di leader più forte a “sopravvivere” ma quella più predisposta a tradurre in pratica questo vademecum:

Parlare chiaro.

Nascondersi in analisi e predizioni in momenti di cambiamento ha poco senso. Meglio puntare su una visione e conquistare il buy-in del team

Immaginare.

Non è un’attività da visionari ma qualcosa che dovrà essere parte del proprio kit di base del leader. Ecco perché parlare di scienze del futuro non è mai risultato così poco futuristico

Preparare.

Inutile immaginare e individuare una direzione senza preparare il relativo terreno. Il rischio è scambiare fischi per fiaschi, o meglio, cigni per rinoceronti

Assegnare.

La delega, questa sconosciuta. Nonostante gli sforzi resta ancora difficile da applicare, meglio convincersi sin da subito che il concetto di “organizzazione” per come lo abbiamo conosciuto per secoli non sta reggendo alla prova dei tempi. La prossima volta che sentiremo parlare di “auto-organizzazione”, fermiamoci ad ascoltare

Comunicare.

Per alcuni leader una croce, per altri una delizia. Il trade-off è creare una comunicazione efficace e “principle-based”, ancorata cioè ai principi e al proposito

Agire.

Così come la potenza è nulla senza il controllo, l’innovazione è nulla senza execution

Misurare.

Pensiero, azione, retrospezione. Ripetiamo insieme.

Aggiustare.

Il cambiamento non succede una volta per tutte, l’iterazione è necessaria

Empatizzare.

Meglio essere autentici che educati. Il leader è umano e ha a che fare con umani e l’interruttore dei neuroni-specchio deve essere sempre acceso

Ingaggiare.

Visibili, connessi, accessibili. Non nascondiamo il fatto che cambiamento significhi anche discomfort e perdita

A proposito di perdita, quando evolvi, devi mettere in conto di perdere qualcosa per guadagnare altro. Nelle fasi di trasformazione, soprattutto organizzativa, si sente spesso parlare di situazioni di cambiamento “win-win”. Sappiate che chi ne parla non ci sta dicendo tutta la verità, non esistono situazioni perfettamente in equilibrio, c’è sempre qualcuno che perderà qualcosa. Questo non è necessariamente negativo anche se fatichiamo a realizzarlo nel breve periodo.

Nulla di veramente importante succede nella zona del win-win, le situazioni game changing sono quelle in cui, inevitabilmente, si rischia di più. A parlare è Marty Linsky, professore in Harvard dal 1982, giornalista con esperienze politiche, che ha capitalizzato il suo percorso poliedrico riconducendo nel framework della “leadership adattiva” trent’anni di esperienza di insegnamento e consulenza su temi organizzativi e di change management ed HR transformation.

Tra questi, l’esercizio della leadership che oggi torna a essere più che mai centrale – invero senza mai smettere di esserlo – in un’epoca caratterizzata da fluidità e percezione di alti rischi e ipoteche sul futuro. In tempi di incertezza, infatti “tutti guardiamo alle autorità affinché forniscano direzione, ordine e protezione”.

L’aspettativa più alta è nella risoluzione del problema, qui e ora, che spesso porta a ignorarne le vere cause e i conflitti latenti che esse possono alla lunga generare. Succede nella società, succede nelle organizzazioni.

Queste non vanno viste e analizzate come strutture perché “le strutture non esistono, esiste solo un approccio dinamico” a guida tutta umana.

Abbiamo avuto l’opportunità, come Centro di Eccellenza Human Capital BIP, di incontrare ed intervistare il prof. Linsky, durante un convegno sulla Leadership organizzato da Sistema Italia, e riflettere insieme sul vero significato dell’adattività. Da qui abbiamo concluso che:

La leadership adattiva poggia essenzialmente su tre parole che sono tutt’altro che astratte, ovvero Responsabilità, Perdita, Autorealizzazione.

La Responsabilità riguarda la capacità di fare delle scelte che possono “scontentare” le persone che ti circondano (disappoint your people). La dipendenza totale tra gruppi di persone può infatti portare all’arresto di qualsiasi capacità di evolvere il proprio potenziale e di intraprendere un percorso che, per quanto complesso, ci conduce all’autorealizzazione.

Quest’ultima implica necessariamente il perdere qualcosa sulla nostra strada.

Il leader adattivo è il leader che perde, perché è in grado di gestire la paura della Perdita e il rischio. Esiste una correlazione diretta tra rischio e sfida adattiva: più alta è la percezione di questo, più l’organizzazione opporrà resistenza a chi intende guidare il processo di cambiamento. L’esercizio della leadership sarebbe una pratica senza troppi rischi se le organizzazioni avessero a che fare con problemi che già conoscono. Chiamiamo questi problemi “tecnici” che sono altro rispetto alle “sfide adattive” che richiedono sperimentazione, problem solving iterativo e nuove scoperte.

Incongruenza tra teoria e pratica organizzativa, coesistenza di obiettivi contrastanti, incoerenza tra conversazioni formali e informali e tendenza a nascondere ed evitare ciò che è faticoso sono i quattro archetipi delle sfide adattive. In tutti i casi il cambiamento è sostenibile solo se chi lo sperimenta lo ha interiorizzato. L’adattività non è solo professionale, al punto che il prof. Linsky ci apre le porte del suo privato per raccontarci la sua esperienza adattiva più forte, il divorzio.

“Ero impreparato a gestire la situazione e non si può dire che in quella circostanza non mi sia spinto fuori dalla comfort zone!” il parallelo ci serve a comprendere da un punto di vista organizzativo la “zona di disequilibrio produttivo” dove si perde molto ma si capisce fino in fondo il valore dell’imprevedibilità.

Essere un leader adattivo significa fronteggiare l’imponderabile, premiando l’assunzione intelligente del rischio e instillando la capacità di generare in modo sostenibile una cultura che favorisca la riflessione e l’apprendimento, in sostanza l’Autorealizzazione.

Realismo della ragione, ottimismo della volontà”, è l’ultimo paragrafo del suo libro che risuona come una chiamata all’azione per tutti i leader adattivi. Attenzione a considerarli due termini opposti, anzi, utilizzando entrambi si evita che l’ottimismo si trasformi in ingenuità e il pessimismo in cinismo. Riflettere sulle proprie scelte, assumendosi il rischio di commettere errori è il modo migliore per restare in equilibrio dandosi la possibilità di immaginare un futuro migliore.

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